Il mio amico Lucino

Franco era un bambino adorabile: dove lo mettevi, stava. Intelligente e sveglio, era dotato di fervida fantasia e di una dote che i genitori apprezzavano assai: sapeva farsi compagnia da sé  e giocare da solo senza bisogno di essere intrattenuto da alcuno. Certo, gli faceva piacere che la mamma ed il papà giocassero insieme a lui ogni tanto, ma solo ogni tanto perché Franco creava storie infinite con i suoi pupazzi, trascorreva ore a fare costruzioni ed a usare un programma di disegno animato al computer. Oppure si perdeva nelle avventure di libri e fumetti, o nel giardino a giocare a pallone o ad osservare piante e fiori, difficilmente si sentiva solo o annoiato. Poiché i genitori lavoravano, Franco veniva affidato ai nonni: quando tornava a casa dal doposcuola faceva merenda e poi terminava i compiti in soggiorno dove la nonna, sul divano, guardava la televisione e lavorava a maglia o leggeva un libro. Terminati i compiti, Franco andava a giocare in camera sua o in giardino; gli sarebbe piaciuto avere un cagnolino per giocare a palla con lui, ma i genitori non erano dell’idea perché sostenevano fosse un impiccio quando si doveva andare via. Per quanto fosse pieno d’inventiva, a volte Franco avrebbe voluto un amico con cui passare il tempo, umano o canino che fosse, o meglio ancora un fratello. I suoi amici, tutte le volte che venivano a casa sua, finivano per attaccarsi alla Playstation e non c’era verso di convincerli a fare qualcosa di più movimentato o creativo. Franco si adeguava, ma non si divertiva poi tanto: i bambini che avrebbero dovuto essere suoi amici, il più delle volte gli sembravano degli estranei. Un pomeriggio di primavera dopo aver finito i compiti, continuato un puzzle da duemila pezzi, disegnato cinque fogli e terminato di leggere un libro di fiabe, Franco non sapeva  più come passare il tempo. La nonna si era appisolata sul divano, così non c’era modo nemmeno di andar fuori a prendere un gelato. Scese in giardino a tirar calci alla palla.Uffa, uffa ed ancora uffa. Quel pomeriggio proprio non passava più. A volte succedeva che il papà tornasse a casa entro le sei, e Franco si augurò che fosse una di quelle giornate così gli avrebbe chiesto di andare a fare un giro in bicicletta. Ma non ci sperava troppo. In quel momento, Franco si accorse che la luce era cambiata: pareva che si fosse fatta livida, la luce calda e piena di maggio aveva lasciato posto ad una strana luce grigio azzurra, e gli uccellini avevano smesso di cinguettare. Gli sembrava inoltre che facesse un po’ più freddo. Franco smise di correre e fermò il pallone con un piede; in quel momento sentì una folata di vento  alle sue spalle, si girò e vide una cosa simile ad bolla di sapone gigante atterrare sul prato. Dalla bolla si aprì una porta rotonda ed uscì una musica come di arpa con sottofondo di acqua fresca che scorre, poi comparvero tre esseri azzurri a forma di pera, due più grandi ed uno più piccolo. I cosi  più grandi non erano poi tanto grandi, saranno stati alti un metro e mezzo ad essere generosi, quello piccolo  a Franco non arrivava nemmeno alle spalle.  Avevano braccine corte che terminavano con manine a forma di manopola, gambette corte e tozze e piedini ovali. Gli occhi erano bellissimi: di mille tonalità blu, luminosissimi e tondi, con lunghe ciglia. Il naso era a patata e la bocca grande e sorridente. Un aspetto simpatico e rassicurante.

 

– Ciao Franco, noi siamo gli Azzurrini, veniamo da Beta Blu,  ed era da tempo che volevamo incontrare voi terrestri.

 

La voce era dolcissima, pareva musica e velluto, Franco sentì immediata simpatia e fiducia verso quella specie  di pere azzurre.

 

– Ciao… voi come vi chiamate?

– Io sono Biiiizzzzzyhaaaiiiiiit, lui è il mio compagno Ssssscccccrupit e questo e’ nostro figlio Qvaaaaaarrsuuuuup.

– … Ma tu mi puoi chiamare Lucino – aggiunse  Qvaaaaaarrsuuuuup – mi stavo annoiando tantissimo, così mamma e papà, che da tempo stanno facendo ricerca sui terrestri, hanno pensato che si potrebbe fare uno scambio culturale: io verrò a giocare con te, ed appena saremo pronti, se vorrai, sarai tu a venire a giocare da me.

A Franco non pareva vero: un nuovo amico, e per di più azzurro, dalla voce gentile e dagli occhi buoni. Sperava solo che le apparenze non fossero ingannevoli.

– Allora Qvaaaaaarrsuuuuup, verremo a prenderti per l’ora di cena, nel frattempo divertiti e fai amicizia con Franco.

I genitori di Qvaaaaaarrsuuuuup rientrarono nella bolla e ripartirono. Franco pensò che la prima cosa che  Qvaaaaaarrsuuuuup- Lucino dovesse imparare, fosse giocare a calcio. Gli spiego’  le regole principali e gli fece vedere qualche palleggio, per quanto non fosse convinto che Lucino potesse divertirsi: aveva le gambe veramente  corte, ad occhio e croce due spanne. Magari era veloce, chissà! Lucino non era veloce: era un fulmine. Riusciva ad inseguire la palla con la rapidità  della luce, e mentre correva pareva che si deformasse allungando ora una gambina ora l’altra, buttando fuori delle protuberanze dalla testa o dalle spalle per arrivare al pallone.

– Ehi, Lucino, ma così non vale! Io non riesco a far uscire bozzi come te, per prendere la palla! Né ho le gambe che si allungano! Si gioca con la … dotazione di base, ecco.

Lucino ci rimase male. Diventò tutto giallo, sicuramente doveva essere la variante aliena del rossore per imbarazzo.

– Scusami … è che la mia dotazione di base e’ questa, non saprei come fare diversamente. Davvero.

Poverino, sembrava proprio costernato.

– Allora – disse Franco- facciamo la lotta?

– La lotta?

– Si, ci prendiamo a botte, più o meno, senza però farci troppo male che poi i genitori ci sgridano.

– Ah, ma io non mi faccio mai male quando prendo delle botte!

Questa, poi! Pensò Franco, e si lanciò di testa contro Lucino. Era vero. Impossibile farsi  male: Lucino aveva una consistenza gommosa così che Franco rimbalzò all’indietro, e se non fosse stato per Lucino, che aveva allungato a mo’ di elastico i braccini per prenderlo al volo, si sarebbe schiantato contro una pianta. Franco era stupito:

– Wow! Ma sei fatto di gomma!

– Cos’è la gomma?

– Un materiale come te. Morbido, elastico.

– Non so cosa sia la gomma, ma noi quando siamo ancora piccoli siamo tutti così, crescendo diventiamo meno molli e non riusciamo più a prendere forme diverse. Tu non ci riesci?

– No, noi terrestri siamo così come ci vedi e basta.

– Mi spiace…chissà come ti annoi! E come devi far fatica, se vuoi salire sopra un albero!

–  Non faccio fatica. Guarda.

Franco iniziò ad arrampicarsi sul ciliegio, ed arrivò quasi in cima:

– Dai, Lucino, vieni anche tu!

Lucino prese la forma di un salame gigante e si avviluppo’ prima intorno al fusto del ciliegio, poi attorno ai rami, fino a raggiungere il ramo su cui sedeva Franco, dove riprese la sua consueta forma di pera per sedersi accanto al bambino. Ma il peso era troppo ed il ramo si spezzo’; Franco e Lucino caddero giù, e nella caduta Lucino si avvolse tutto intorno Franco, in modo che rotolarono a terra senza farsi niente. Franco era strabiliato, si stava divertendo un sacco a far dei giochi ad alta pericolosità che gli erano assolutamente vietati:

– Lucino, ma tu non senti proprio niente quando sbatti per terra? Non ti fa male qualcosa?

– No, non sento male, però nel punto in cui picchio contro qualcosa cambio colore e mi formicola un po’. Guarda.

Nel punto infatti dove aveva impattato col prato, Lucino aveva una chiazza rosa scuro.

– … Ma passa presto. Con l’età però ci impiega più tempo.

Proprio come per i terrestri: da piccoli si cade e ci si rialza come se niente fosse, da adulti si rischia invece di sbriciolarsi. Franco fece fare al suo amico il giro del giardino, descrivendogli piante e fiori, e gli regalò un esemplare di tutti quelli che poteva cogliere. Poi prese dei vasetti vuoti, li riempì di terra e vi seminò delle erbe aromatiche:

– Vanno innaffiati ogni giorno, e tra venti giorni spunteranno le piantine.

Lucino pareva felicissimo. A quel punto, Franco pensò di invitarlo ad entrare in casa per offrirgli una merenda, ma a metà della scala si fermò di colpo:

– Lucino, mia nonna! Come facciamo a spiegare a mia nonna chi sei e da dove vieni?!? Le verrà come minimo una sincope!

Lucino sorrise:

– Franco, non preoccuparti. Finché sarò qui con te, tua nonna non ci potrà vedere.

–   Vuoi dire che saremo invisibili?

– In un certo senso. Il tempo in cui ci muoviamo noi è un tempo a parte  rispetto a quello in cui si trova tua nonna. C’è una specie di sfasatura, ecco. Che terminerà nel momento in cui tornerò a casa.

 

Franco e Lucino entrarono in casa; la nonna continuava a sonnecchiare in soggiorno, ed i due bambini andarono in cucina dove Franco scaldò del latte, ci mise l’orzobimbo, taglio ‘ una fetta di crostata  ed offrì il tutto a Lucino.

– Mangia, e’ buono.

Lucino prese la tazza di latte fra le sue manine a manopola,  annusò il contenuto e provò a bere un piccolo sorso. Poi addento’un pezzetto di crostata, e gli si illuminarono gli occhi, che divennero ancora più grandi:

– Ma…non ho mai mangiato niente di così buono! È meraviglioso!

Al che Franco gli domandò:

–  E voi, cosa mangiate da voi?

– Mah, roba molto più colorata … Più morbida, un po’ tremolante …

– Ho capito, del budino.

– Cos’è ?

Franco aprì il frigorifero e diede a Lucino un vasetto di budino al cioccolato: il suo amico  lo mangio’ se possibile sgranando ancora di più gli occhi, e cominciò a fare un suono ronzante che assomigliava a fusa di gatto. Evidentemente la cucina terrestre incontrava il suo gusto:

– No, la roba che mangiamo noi, a parte la consistenza, non assomiglia nemmeno un po’ a questo budino! È FANTASTICO !!!

– E non hai ancora assaggiato questo … prova!

Franco prese dal frigorifero il parmigiano e ne tagliò un pezzetto che porse a Lucino: mentre lo mangiava, Franco ebbe paura che gli schizzassero gli occhi fuori dalla testa. L’ingrandimento degli occhi era un chiaro segno di apprezzamento. In quel momento, la luce si fece di nuovo più fredda e si sentì la musica di arpa e di ruscello che scorre: erano arrivati i genitori di Lucino per riportarlo a casa. L’incontro era stato un successo, così promisero a Franco che Lucino sarebbe tornato e che lui stesso sarebbe andato sul loro pianeta, appena risolte certe faccende tecniche. Lucino ripartì con un mazzo di fiori, i vasetti dov’erano stati piantati i semi di erbe aromatiche, la punta di parmigiano, due budini e tutta la crostata rimasta. Dopodiché la nonna di Franco si svegliò come se nulla fosse accaduto, e Franco guardò l’orologio: le cinque e mezza, pareva che il tempo passato con Lucino non fosse mai  esistito. Sperava di poterlo rivedere presto. Lucino tornò dopo tre giorni, e poiché pioveva, rimasero in casa a far merenda, a giocare a Monopoli ed a fare delle costruzioni col Lego. Lucino aveva portato uno dei suoi giocattoli preferiti: una specie di bolle di sapone fatte con uno strano fluido gelatinoso bianchiccio che odorava un po’ di  uovo fritto. Non era un granché invitante, ma aveva una proprietà sorprendente: quando si soffiava, prendeva la forma ed il colore che si desideravano prima di dissolversi in una specie di vapore denso, che odorava anche quello di uova fritte. E come l’altra volta, quando Lucino se ne fu andato pareva che il tempo terrestre non fosse trascorso. Lucino tornò ancora diversi pomeriggi, ed ogni volta Franco gli dava del cibo da portare a casa; un giorno fu invece Lucino a portargli una merenda aliena: si trattava di una specie di gelatina verde fluorescente, e Franco si chiese se avrebbe potuto fargli male, o magari trasformarlo in un alieno come Lucino. Pensò che se il suo amico si ingozzava di budino, biscotti, torta e latte con l’orzobimbo senza far una piega, poteva anche lui fare una merenda un po’ insolita senza riportare danni. Mangio’ la gelatina e si rese conto perché il povero Lucino stravedeva per il cibo terrestre: la gelatina era schifosa, sapeva di fango con un retrogusto di banane marce. Franco ringraziò Lucino per il pensiero, ma prese dalla credenza la ciambella e lasciò da parte la gelatina:

– Lucino, grazie per aver portato la merenda, ma forse noi terrestri abbiamo gusti un po’ diversi, mi spiace ma proprio non riesco ad apprezzarla …

Lucino sospirò:

– E’ schifoso, vero? I miei genitori stanno facendo uno studio sul cibo terrestre proprio perché il nostro e’ disgustoso. Sul piano nutrizionale forse e’ migliore, ma fa davvero schifo. Stanno cercando di capire quali delle vostre piante e dei vostri animali si possono adattare  a vivere su Beta Blu, ma abbiamo due grossi problemi.

– Quali? Clima troppo freddo, troppo caldo, poca o troppa luce?

– No, Beta Blu e’ molto simile alla terra, ci sono solo più boschi, fiumi e laghi che mare, il punto e’ che non ci sentiamo di mangiare gli animali e quanto alle piante … Beh, scoppiano durante il viaggio dalla Terra a Beta Blu. Dobbiamo mettere a punto un sistema di protezione migliore.

-Vuoi dire che i fiori ed i vasi che ti avevo dato, sono esplosi ?

– Purtroppo si. Ed anche i budini, i biscotti, le torte.Il Lego invece si era deformato.

– Ma questo vuol dire che nemmeno io potrò andare sul tuo pianeta!

– Eh, per un po’ temo di si. Sarebbe brutto se tu scoppiassi durante il viaggio.

Franco immaginò brandelli del suo cervello e schizzi del suo sangue dentro l’astronave:  una scena tremenda. Era rimasto un po’ deluso, ci sperava davvero di poter andare qualche pomeriggio a casa di Lucino.

– Ed hai idea del tempo che ci vorrà?

– Più o meno tre anni, non credo oltre, i miei genitori dicono di essere a buon punto.

Quel pomeriggio Lucino tornò a casa senza il solito pacchetto della merenda, era inutile sprecare cibo. Tornò ancora tante altre volte, e passarono tre anni. Intanto Franco aveva terminato le scuole elementari e cominciato le medie, che proprio non gli piacevano perché veniva riempito di compiti noiosi e difficili. Un giorno Lucino chiese a Franco di poter portare a casa i biscotti e qualche piantina, c’erano buone probabilità che il nuovo sistema di isolamento funzionasse. E funzionò: la volta dopo Lucino comunicò a Franco che né i biscotti né le piantine erano scoppiate, avrebbero ripetuto l’esperimento con un uccellino, poi con un essere umano scelto a caso, e se tutto fosse andato bene Franco sarebbe stato presto loro ospite. Anche Lucino in quegli anni era cresciuto un poco, si avvicinava al metro e trenta, però la differenza in altezza tra lui e Franco  era aumentata poiché Franco era diventato un ragazzino molto alto. Se lo fossero venuti a prendere, bisognava usare un’astrobolla grande. E finalmente arrivò il momento in cui Franco poté andare su Beta Blu: il viaggio fu brevissimo e la visita alla città di Lucino fu entusiasmante al punto che Franco non voleva saperne di tornare a casa. A Beta Blu sembrava tutto più bello, era tutto molto simile alla terra ma i colori erano molto più vividi, i suoni della natura più morbidi ed armoniosi, e tra gli alieni si avvertiva uno spirito di grande pace e gentilezza. Avevano piante ed animali di forme e colori sorprendenti, quando il vento si muoveva tra gli alberi sembrava di udire un canto, l’acqua scorreva nei fiumi con il suono di una carezza, e per Franco il ritorno a casa fu un vero e proprio trauma. A parte il cibo, la Terra non sembrava offrire altro di meglio rispetto a Beta Blu. Passò altro tempo, Franco terminò le scuole medie e si iscrisse alla scuola di agraria, con grande raccapriccio dei genitori che lo volevano iscrivere ad un liceo, considerandolo “sprecato” per andare a lavorare la terra. Ma Franco aveva già un progetto di cui aveva parlato con Lucino, i suoi genitori ed il gruppo di ricerca cui facevano parte: si sarebbe trasferito a Beta Blu dove avrebbe dato vita ad un’azienda agricola con colture terrestri, e magari anche aperto un ristorante. Avrebbe dovuto lasciare gli amici ed i genitori, ma aveva un piano per andarsene senza sollevare troppo schiamazzo: terminati gli studi avrebbe detto di  trasferirsi in Australia per lavoro, nessuno lo sarebbe andato a cercare fin lì ed alcune volte sarebbe tornato lui a casa giusto per mantenere qualche contatto. Facilitava il tutto il divorzio dei genitori avvenuto alcuni anni prima e seguito dalle seconde nozze di entrambi, che avevano creato delle famiglie allargate in cui Franco si sentiva un pesce fuor d’acqua: un evento che avrebbe reso un disadattato qualsiasi adolescente, per Franco invece si traduceva  in un concreto vantaggio. No, non aveva proprio nulla che lo legava profondamente alla sua terra natia. Quando si stabilì definitivamente su Beta Blu, Franco avviò  il suo agriturismo ed incontrò molti altri terrestri su quel pianeta, diversissimi tra loro per aspetto e professione, ma simili per indole: erano tutte persone sensibili ed intelligenti .  Alcuni come lui avevano pianificato la fuga con attenzione per non destar sospetti. Altri si ricordò di averne sentito parlare in un programma televisivo dedicato alle persone scomparse. Beh, che li cercassero pure. Col cavolo che sarebbero ritornati.